Separazione: fine di un legame affettivo o vitalizio?
Gli avvocati con più esperienza non si stupiscono di nulla, io ho ancora il privilegio di rimanere scioccata nel vedere a quanto può arrivare la bassezza umana ed ho il timore di poter assistere anche a peggio…
So che: l’assegno di mantenimento deve garantire al beneficiario lo stesso tenore di vita tenuto durante il matrimonio, dovendo dunque prendere in considerazione le condizioni economiche dell’ex coniuge su cui grava l’assegno.
So che l’importo dello stesso deve essere determinato sulla base dei seguenti indici:
- il contesto sociale nel quale i coniugi hanno vissuto durante la convivenza. Da tale realtà si farà dipendere il quantum dell’assegno, poiché l’assegno divorziale deve garantire al coniuge beneficiario lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio le disponibilità economiche del coniuge a carico del quale va posto l’assegno.
Quello che non sapevo, ma ho purtroppo imparato è che:
- i mariti pagano l’affitto di casa ai propri genitori;
- le mogli sono inabili al lavoro, perché depresse e i soldi in vestiti, pub e discoteche sono spesi sotto consiglio medico;
- i mariti a capo di società divengono come per magia semplici dipendenti mal retribuiti;
- quelle prodotte in giudizio da controparte, non sono appassionate lettere d’amore scritte all’amante, ma bozze per libri;
- non era l’amante, ma semplicemente una vecchia e risalente amicizia;
- nei motel, ci si ritrova per discutere di lavoro o avvenimenti culturali.
Per correttezza intellettuale, devo ammettere, che fra tutte le frasi sentite durante gli interrogatori formali, le più fantasiose sono sempre state pronunciate da donne, forse perché l’idea comune di molte di queste è che, indipendentemente dall’atteggiamento tenuto durante la vita matrimoniale, il mantenimento sia un loro diritto inviolabile.
In realtà, presupposto del diritto di mantenimento da parte del coniuge sono: la non addebitabilità della separazione e la mancanza di “adeguati redditi propri”e se è stato pronunciato l’addebito a carico di uno dei coniugi, questi non ha diritto al mantenimento, ma solo agli alimenti ex art. 433 cod. civ., ove ricorrano i presupposti e, quindi, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento ex art. 438 cod. civ.
Bene! Sono disposizioni chiare. Allora perché abbiamo separazioni giudiziali, dove dopo un’istruttoria in cui si citano come testi gli ex amanti, in cui si producono foto e video che ritraggono ex signore impegnate nell’organizzare eventi culturali o nel cenare a lume di candela con amici di vecchia data, ci si scandalizza quasi se i Giudici non statuiscono un assegno a carico del marito? Perché in udienza, magari la stessa controparte che ha avuto il buon gusto di portare il marito a cena con l’amante, s’arroga il diritto d’ affermare: Beh! Lui mi deve mantenere, io sono la moglie!
A parere della scrivente, questa visione giuridica della crisi familiare ha contribuito a trasformare l’assegno di mantenimento in una rendita a favore del coniuge debole, il quale (la quale) può non essere stimolata ad intraprendere alcuna attività lavorativa, avendo diritto, in pratica, ad un “vitalizio”, e potendo altresì ottenere gli adeguamenti legati all’evoluzione della situazione economica del marito.
E se l’assegno non soddisfa?
In teoria, la revisione dell’assegno, oltre che nell’ipotesi di miglioramento delle condizioni del coniuge tenuto al mantenimento, può essere disposta anche nell’ipotesi in cui l’avente diritto subisca un peggioramento della situazione patrimoniale, ovvero qualora il peggioramento investa l’obbligato. Come sempre parliamo di teoria, la pratica è ben altra cosa, non reputo necessario elencare i fantasiosi elementi offerti dalle parti per indurre il Giudice ad emettere un provvedimento a proprio favore, vorrei però non fosse necessario dire che: NON SI FANNO FIGLI PER GARANTIRSI UN BEL PATRIMONIO. Invece, tirando le somme, a sentenza duole constatare che per alcune persone è proprio così. In certi casi (pochi, ma degni di nota), l’umana avidità tocca livelli impensabili e porta ad azioni tanto immorali, quanto ignobili. Nei casi in cui il coniuge “debole”, capisce che l’assegno non rende giustizia, dopo aver esperito ogni mezzo legale concesso dal codice di procedura civile, passa ai mezzi “illegali”, strumentalizzando (come sempre) i figli……. Così si inizia nuovamente la lotta a colpi di 710 c.p.c..
Nonostante tutto, volenti o nolenti, si esce da un Tribunale avendo capito che:
- i Giudici il loro lavoro lo sanno fare più di quanto non si creda
- gli Avvocati non fanno miracoli
- gli assegni da capogiro vengono assegnati solo nei films
E così, di colpo, s’apprende che quell’essere spregevole che si è sposato, rendeva meglio da coniuge che da ex…
E allora ….. nessun problema….ci si rivede per il divorzio!
Avv. Silvia Nativi