Sedato e strangolato dalla moglie “Ero stufa delle sue violenze”
L’uomo aveva 64 anni, la moglie 60: dopo l’omicidio è stata lei stessa a chiamare i carabinieri
Agostina Barnieri, 60 anni, ha ucciso il marito Luciano Giacobone di 64, lo ha prima sedato con delle gocce di un farmaco in una bevanda, poi gli ha stretto al collo dei lacci delle scarpe. Subito dopo ha chiamato i carabinieri e ha confessato: “L’ho ammazzato perché non ne potevo più, ci picchiava me e mio figlio. Avevo paura che ci ammazzasse tutti anche mia madre”. La donna è stata arrestata e condotta al carcere Lorusso e Cotugno di Torino. Nella casa di via Giappano a Borghetto Borbera sono rimasti il figlio e l’anziana madre. “È una tragedia frutto della violenza familiare” ha detto Silvia Nativi, legale della donna che collabora da tempo con il centro antiviolenza Me.dea di Alessandria. In paese sembra che nessuno sapesse delle violenze in famiglia.
Strangolato con i lacci delle scarpe
Ha ucciso il marito con i lacci delle scarpe. Prima l’ha sedato, non si sa con quali sostanze, e poi l’ha strangolato. Ha chiamato i carabinieri e ha confessato: “L’ho ammazzato perché picchiava me e mio figlio e avevo paura per mia madre”. Ha confessato Agostina Barbieri, 60 anni, in pensione da pochi mesi di aver ucciso il marito Luciano Giacobone, che di anni ne aveva 64 e fino all’anno scorso faceva il camionista. È successo tutto domenica sera nella loro casa di via Giappano, dopo una giornata di liti, iniziata a pranzo con gli insulti e finita con le bottigliate, tanto che la vittima si era ferita a un orecchio ed era andato in pronto soccorso a farsi medicare: tre giorni di prognosi. La lite è ripresa alla sera e allora Agostina, che in paese tutti conoscono come Tina, ha deciso: ha messo quelle gocce di sedativo non è ancora chiaro in quale bevanda, gli inquirenti non lo hanno ancora rivelato, forse nel vino, e quando il marito si è addormentato gli ha stretto al collo dei lacci delle scarpe per soffocarlo. Sposati dal ’90 si conoscevano da decenni, con loro viveva il figlio di 28 anni. “La Tina ha ucciso il marito? Quando lo abbiamo saputo non ci potevamo credere. È una brava ragazza” sono due donne che parlano, vicine di casa della coppia che abitava in via Giappano, e raccontano che mai “la Tina ha fatto capire quello che le accadeva in casa” certo c’era stata la tragedia della morte della sorella più giovane, malata di cancro e morta due anni fa. “Solo la madre della Tina ci aveva fatto capire che qualcosa non andava” sempre una delle vicine che non vuole dire il suo nome, racconta di quell’incontro al cimitero: “Quella donna mi disse che della figlia morta non se ne faceva una ragione, ma che adesso aveva anche problemi con l’altra figlia, ma i particolari non li ha voluti dire. Ho pensato che fosse qualcosa di particolare, ma non certo una cosa che finisse così”. In quella via Giappano le case stanno strette, strette una all’altra, ma nessuno pare abbia mai sentito grida di liti. “Questa è una tragedia dovuta ai maltrattamenti familiari” lo dice Silvia Nativi, legale della donna rea confessa, civilista che da anni collabora con il centro antiviolenza Me.dea “Mi affianca un penalista – racconta. Le violenze andavano avanti da anni, ma negli ultimi tre mesi erano diventate quotidiane e insopportabili. La mia cliente temeva per la vita del figlio, della madre e per la sua.” Durante la lite di domenica a pranzo Giacobone se l’è presa con il figlio “fai le valigie e vattene da casa” pare abbia detto. Una rissa che è finita con il ferimento della vittima, ma i particolari sono ancora al vaglio degli inquirenti. Agostina Barbieri ha insistito con i carabinieri “ho fatto tutto da sola, non ne potevo più”.
Lui ha perso il lavoro e qualcosa si è incrinato
Se tragedia doveva essere, non è stata annunciata. Agli occhi degli abitanti di Borghetto Borbera, il matrimonio tra Agostina “Tina” Barbieri e Luciano Giacobone sembrava essere senza problemi. Una coppia riservata, poco incline, o per nulla, alla socializzazione di piazza. Insomma una coppia raccontata come affiatata, che nulla avrebbe avuto a che fare agli occhi del vicinato con il tragico epilogo dell’altra sera. Tina e Luciano erano sposati dal 1990 ma si conoscevano da molto tempo prima. In paese dicono che “qualcosa si è incrinato nel momento in cui Luciano ha smesso di fare il camionista, meno di un anno fa”. Forse la convivenza troppo “stretta” come ha sottolineato una vicina, potrebbe aver aumentato l’insofferenza in un rapporto con tanti problemi. “Tina è una brava persona – precisa una sua conoscente – però ha sofferto troppo la perdita della sorella. Dopo averla assistita, quando morì, Tina divenne più chiusa e quasi non salutava i conoscenti per strada. Sembrava pensare ad altro. Era rimasta scossa”. “Ho saputo di quanto fosse accaduto dai carabinieri che mi hanno contattato l’altro ieri verso sera – dice il sindaco di Borghetto, Enrico Bussalino-. Di fronte a simili sciagure credo sia inutile ogni commento. Anche perché intanto, in un paese tranquillo come Borghetto, non siamo certo abituati a simili episodi e poi perché, da quanto mi risulti, Tina e Luciano sono sempre stati dei gran lavoratori. Lui era una persona riservata ed era anche raro incontrarlo al bar del paese o durante eventi. In linea di massima, posso solo dire che stiamo parlando di una buona famiglia che probabilmente celava qualcosa si oscuro che non abbiamo mai percepito”. “Non conoscevo molto bene Luciano se non per il fatto che molti anni fa venne in paese per sposare una ragazza del luogo, appunto “la Tina” – ricorda il vicesindaco di Borghetto, Franco Saporito-. Ovviamente il discorso è diverso per la moglie che però non vedevo da tempo. Però con me era sempre stata affabile e sorridente, sempre disposta a scambiare qualche parola. Convenevoli e niente di più. Ho saputo solo stamattina quello che è accaduto perché mi trovavo fuori comune”. “Ho la delega comunale alle Politiche sociali – prosegue Saporito – diciamo che di tanto in tanto qualcuno raccontava qualcosa. Per esempio su liti o malesseri personali. Cerco sempre di far intervenire le strutture preposte. Ma nel caso di Tina e Luciano non è stato così. Se avessi percepito qualcosa, se qualcuno avesse parlato, forse avrei potuto muovermi in qualche modo ma evidentemente certe cose, sono rimaste chiuse in quella casa, da dove non è mai trapelato nulla. Oppure nessuno ha parlato. Solo ora Tina ha raccontato dei maltrattamenti del marito ma è sempre tutto da verificare. Sapevo solo che Tina aveva lavorato in una cooperativa di pulizie per l’azienda chimica Sutter, mentre lui non lavorava più dall’anno scorso”.
“Luciano? Lo conoscevo e appariva un po’ burbero ma diventava affabile se la discussione poggiava sulla moto – ricorda un conoscente – . Andava orgoglioso della sua Suzuki 650, piuttosto vecchiotta come modello ma tenuta perfettamente in ordine da lui stesso nel suo garage. Raccontava che una volta percorreva molti chilometri ma ultimamente si limitava a brevi uscite”. Tina e Luciano erano una coppia tranquilla almeno in apparenza. E se in paese, “è meglio tacere”, ci sarà lavoro per gli inquirenti per far affiorare i contorni di questa ennesima tragedia familiare che potrebbe far emergere una storia già ascoltata.
“Le donne spesso non denunciano perché temono di essere uccise”
Dal centro anti violenza Me.dea
“È il primo caso in questa provincia, non ne abbiamo mai avuti così estremi. Abbiamo strutture che accolgono donne vittime di violenze e maltrattamenti, ma sono persone che devono essere protette da chi le vuole uccidere”. Rosetta Bertini è una delle socie di Me.dea: ma non si poteva arrivare prima dell’omicidio? Perché Agostina Barbieri non ha denunciato il marito violento? “I casi di cronaca sono pieni di donne che hanno denunciato e sono state uccise dal loro maltrattante – racconta -, donne che non sono state tutelate. Le donne non denunciano perché non si sentono tutelate. A volte denunciano e poi si ritrovano a dover vedere il loro maltrattante per i figli, o perché non viene condannato e allontanato.” Come ha sottolineato l’avvocato Silvia Nativi, che collabora con Me.dea e che tutela Agostina Barbieri, denunciare non è semplice ma per Rosetta Bertini a volte non funziona. “O meglio – spiega – non funziona che tu denunci e qualcuno ti mette in sicurezza, non è così. Per questo molte donne non lo fanno. Poi c’è anche il fatto che le donne vittime di violenza sono da anni isolate, non hanno più una rete di amicizie e di protezione, di rapporti con i parenti, non hanno legami affettivi. E tornano al concesso dei figli: gli uomini pur essendo condannati hanno diritto a vedere i figli. Noi non ci sentiamo mai di dire “donne denunciate”. Non è così semplice”. A Borghetto ora dicono che nessuno sapeva cosa accadeva in quella casa. Come è possibile in un centro così piccolo? “C’è sempre la vergogna – conclude Bertini – esiste ancora la cultura del peso del peccato originale, se c’è qualcosa di negativo in una famiglia la colpa è della donna. Lui era geloso perché lei si vestiva male, oppure lui aveva perso il lavoro e lei non capiva. E così la donna non viene aiutata e se fa girare la voce delle violenze in paese la conseguenza potrebbe essere altra violenza, sui figli o sui parenti”.
Fonte: La Stampa